Negli anni a cavallo tra il XIX e il XX secolo un dialettologo francese, Jules Ronjat, percorse una buona parte delle regioni del sud della Francia con lo scopo di studiare la lingua che si rifiutò di chiamare occitano e che, invece, preferì chiamare provenzale. Da Verdon a Biarritz e poi fino ai Paesi Baschi, e poi da Aix-en-Provence a Limoges e poi Chambèry, Dione e Nizza, nell’arco della sua visita Ronjat intervistò gli abitanti delle diverse zone. Nel corso di quelle conversazioni constatò un principio inerente alle lingue naturali: la variabilità diatopica. Osservò anche che quella variabilità permetteva, a diversi gradi, alle persone di zone non troppo distanti tra loro di comunicare, senza bisogno di imparare le lingue degli altri. Ronjat definì questo fatto ‘intercomprensione’. Tuttavia, già qualche decennio prima, diversi linguisti europei avevano iniziato a studiare scientificamente lo stesso fenomeno in altri contesti, come l’India. L’intercomprensione è un fenomeno ampiamente diffuso, non solo fra parlanti di lingue romanze, che costituiscono quasi un quinto della popolazione mondiale, ma anche fra altre lingue europee, asiatiche, africane, amerindie. Durante questa lezione saranno illustrate alcune caratteristiche del fenomeno, facendo particolare riferimento alle lingue europee. Si discuteranno, inoltre, alcune aspetti che riguardano la ricerca in questo campo, il suo rapporto con l’apprendimento linguistico e, più ampiamente, con l’educazione linguistica.